L’applauditissimo e perfetto esempio di teatro-danza che dà un reale significato al binomio “Tempo” e “Corpo”, in scena al Teatro Rossetti di Trieste il 22 e 23 Aprile scorso.

Siamo in compagnia di Anna Dego, attrice, regista e drammaturga, prima di farle alcune domande sul suo spettacolo andato in scena al “il Rossetti”, vorremmo precisare alcune cose su di lei: Anna Dego si è diplomata alla scuola del Teatro Stabile di Genova e ha iniziato la sua carriera come attrice. Nel 1995, ha recitato nella pièce Tango Barbaro di Copì, coreografata da Adriana Borriello. Questo incontro è stato essenziale per lei facendola innamorare e impegnarsi nel “teatro danza”. Nel 1998, è entrata a far parte della compagnia di Adriana Borriello, partecipando a diverse produzioni. Dal 2002, collabora con l’ensemble “L’Arpeggiata”, diretto da Christina Pluhar, esibendosi in prestigiose sedi internazionali come la “Carnegie Hall” di New York e la “Cadogan Hall” di Londra.
Purtroppo non c’è con noi l’altra interprete dello spettacolo: Anna Stante, attrice che si è formata alla Bottega Teatrale di Firenze sotto la direzione di Vittorio Gassman e ha iniziato la sua carriera teatrale a 21 anni, interpretando ruoli significativi diretta da importanti registi. Negli anni successivi, ha ampliato la sua esperienza nel mondo dello spettacolo partecipando a produzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie. Parallelamente, ha intrapreso l’insegnamento, dedicandosi alla formazione di bambini, adolescenti e adulti nel campo teatrale e immaginiamo, dopo l’incontro con la sua vecchia amica Anna Dego, la Stante, fermatasi per una pausa per motivi familiari, è tornata sul palcoscenico proprio con la regia e drammaturgia dell’amica Anna Dego.
Parliamo di questo spettacolo “Il Corpo e il tempo”: potrebbe apparire simile come struttura ad “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, ma se in quest’opera appare come se i due personaggi più che di amicizia abbiano la necessità di un bisogno esistenziale l’uno con l’altro per sopravvivere,
nel “Il corpo del Tempo” questo dialogo tra le due protagoniste sia più ispirato a una visione che condividiamo sul “Tempo” e sulla sua fisicità, prendendo anche spunto dalla loro ritrovata amicizia, crediamo che l’influenza del filosofo Byung Chul Han, sia stata fondamentale per portare in scena un lavoro di teatro danza di ottimo valore e consistenza.
Abbiamo voluto addentrarci un attimo, nella sua filosofia e logicamente nel rapporto “Tempo “ e ”Corpo”, dove troviamo assonanze sceniche e dialoghi con il suo pensiero: “Quanto è stato importante l’aver “scoperto” Han o il suo pensiero in parte era già stato metabolizzato dalle tue esperienze di vita?

Un autore come Samuel Beckett rappresenta senza dubbio una pietra miliare nel panorama teatrale del Novecento: la sua impronta è profonda, quasi inevitabile.
In Aspettando Godot come ne Il Corpo del Tempo, troviamo due figure sulla scena, potremmo azzardare l’idea di un Vladimiro ed Estragone al femminile, ma con una sostanziale differenza: qui non c’è attesa di Godot, qui piuttosto i due personaggi procedono sul filo sottile del vissuto, due equilibriste in borghese che si muovono nell’incertezza del tempo presente. Il pensiero di Byung-Chul Han, in particolare il suo saggio Il profumo del tempo, è stato un punto di riferimento prezioso. Amo pensare ai libri come incontri: non solo letture, ma veri e propri dialoghi con un pensiero che arriva a illuminare ciò che era già in fermento, ma forse ancora privo di parole. Alcune opere riescono a fare proprio questo: danno voce a intuizioni e impressioni, offrono strumenti per leggere meglio la realtà, per mettere a fuoco ciò che si percepisce in modo ancora indistinto. Quindi, per rispondere più direttamente: sì, la scoperta del pensiero di Han è stata fondamentale e allo stesso tempo alcune sue riflessioni erano già presenti in me in forma embrionale. Il suo lavoro mi ha aiutato a riconoscerle, a chiarirle per tradurle in scena con uno sguardo più lucido.
Infatti se Han offre al “Tempo” una visione accelerata e assenza di durata, nella modernità digitale, il “Tempo” è frammentato, accelerato e impoverito, dove non c’è più un senso ciclico o profondo del “Tempo”, ma una successione continua di presente immediato, senza memoria e senza futuro. Il corpo ne è da tramite tra memoria, presente, e futuro dove Il corpo, dice Han, ha bisogno di ritmo, silenzio, contatto per sentire davvero.”Solo chi ha un corpo può avere una vera esperienza del tempo.”. Un lavoro il tuo che mette in risalto tutte queste peculiarità tra “Tempo” e “Corpo”, dove lo stesso “Corpo” ha il suo ritmo, come lo stesso “Tempo”: da qui nasce la tua appropriata e ottima drammaturgia di teatro -danza su questi temi impegnativi e più che condivisibili?
Leggendo la domanda mi è venuto in mente il bellissimo titolo “Col corpo capisco” romanzo di D. Grossman. Col corpo capisco significa che la comprensione non passa solo dalla mente, ma si radica nell’esperienza fisica, nel gesto, nel movimento. Nel teatro danza questo è centrale: il corpo non interpreta semplicemente, ma pensa, sente, dice.
Significa che il corpo non è solo strumento, ma luogo di conoscenza e deposito delle memorie, da parte sua il tempo, non è più solo una misura esterna, ma qualcosa che si attraversa, si percepisce e si abita fisicamente.
Ancora Han dice”La società della prestazione produce un tempo senza intervalli, senza respiro. Una vita senza pausa non è vita.” Mentre troviamo nel tuo, vostro spettacolo il respiro della memoria che si fa presente grazie ai sentimenti, quale l’amicizia, cosa ne pensi? E come sei riuscita a riportare sulle scene la tua amica Anna Stante?
Come Han ci mette in guardia contro il tempo contemporaneo che corre ininterrotto, che inghiotte ogni cosa senza lasciare spazio alla pausa, credo sia fondamentale riscoprire e difendere il respiro. Il respiro della memoria, come dici tu, ma anche quello dell’incertezza, dello smarrimento, del non sapere subito tutto, del lasciarsi attraversare. È in questo respiro che nasce la possibilità di una relazione autentica, come l’amicizia. Il respiro è vita, in qualunque forma lo si declini.
In realtà è stata Anna Stante a rilanciare il nostro incontro in scena. Ci siamo ritrovate durante un lavoro con Lucia Bensasson, storica attrice del Théâtre du Soleil diretto da Ariane Mnouchkine, e da lì è nata spontaneamente la proposta di creare qualcosa insieme. L’ho accolta con grande piacere e così ci siamo ritrovate in sala prove, senza preoccuparci troppo – almeno all’inizio – di produzione o sostegni organizzativi. Avevamo il desiderio e la necessità di lavorare, ed è da lì che tutto ha preso forma.
Ci è apparso perfetto l’accostamento dei primi provini rivissuti in questo spettacolo, quindi richiamati fisicamente dal “Tempo” e il gioco quiz, entrambi esplicativi del pensiero dello spettacolo stesso, ancora più delizioso il finale “attraverso una finestra”, possiamo dire che questi tre concetti-scena sono stati scritti per una più veloce comprensione dell’opera, offrendo anche la giusta leggerezza al complessivo teatrale?
Nello spettacolo ci sono diversi riferimenti all’arte, ciascuno come una dichiarazione d’amore verso l’arte stessa e verso il nostro mestiere. La scena del provino è uno sguardo sul mestiere dal di dentro, riporta un vissuto autobiografico, e ne rivela il lato grottesco e a tratti surreale.
La scena del quiz, invece, amplia un tema che mi accompagna da tempo e che ho esplorato anche in lavori precedenti: quello dell’intervista, porre domande. Mi ha colpita una frase di Oriana Fallaci, che definiva le interviste come un modo per far conoscere meglio l’intervistato a sé stesso.
Il finale, “ attraverso la finestra”, è la trasposizione verticale della gabbia disegnata con lo scotch a terra: uno spazio chiuso, delimitato, che proprio attraverso la sua costrizione può aprire varchi all’immaginazione. Queste scene non sono state pensate per semplificare la comprensione dell’opera, quanto piuttosto come esiti di un processo, di una lunga distillazione creativa. Certo, il rapporto con lo spettatore è centrale: il teatro esiste solo con lui. Ma non si tratta di semplificare o “coccolare” – parola, tra l’altro, oggi abusata – lo spettatore, bensì di creare uno spazio condiviso di percezione e riflessione.
Ci sembra che Trieste, il “Politeama Rossetti” vi abbia accolto con il giusto apprezzamento per uno spettacolo che non era da perdere sicuramente…
La tappa di Trieste è stata per me significativa. A proposito di tempo, è come se mi fossi ritrovata vent’anni indietro, quando fare teatro sembrava avere ancora un senso pieno, profondo, e veniva accolto con curiosità, rispetto, attenzione.
Ritrovare un pubblico così numeroso e partecipe è diventato sempre più raro, quasi un’eccezione. Per questo ho vissuto l’esperienza al Politeama Rossetti con gratitudine: Trieste si conferma una città con un’apertura culturale autentica e ancora tangibile, una “portatrice sana” di ascolto e intelligenza teatrale. È stato un momento rigenerante.
Adesso sicuramente state portando in tour, in altri teatri questo spettacolo, e scommettiamo, hai già altre idee da portare poi sul calpestio del palco.
Oggi non è semplice garantire una lunga vita agli spettacoli, ma siamo felici che Il Corpo del Tempo continui il suo percorso, la prossima tappa sarà a Napoli, al Campania Teatro Festival, sotto la direzione artistica di Ruggero Cappuccio, un artista che stimo molto.
Il nuovo progetto a cui sto lavorando invece sarà ancora una volta al femminile, ispirato a Il Funambolo di Jean Genet. Coinvolgerà due danzatrici straordinarie e un’attrice proveniente dal Théâtre du Soleil. Anche stavolta il terreno sarà quello di confine tra danza e teatro, un confine che sento estremamente fertile. L’inizio di un lavoro è sempre un momento delicato e stimolante, non si sa ancora (quasi) nulla, ma tutto è possibile – vertigine avvincente.
Grazie davvero per questa intervista. Spero di tornare presto a Trieste, con un nuovo lavoro da condividere.
