di Edoardo Gridelli
Mauro Covacich ripropone assieme i suoi tre monologhi sui tre scrittori più famosi e rappresentativi di una Trieste di inizio Novecento, in una “Maratona” che legherà in una cornice più che esaustiva, sia i tre giganti della letteratura mondiale che il loro modo di essere e scrivere, sia il contesto: la vita letteraria triestina che allora si viveva, che influì non da poco sulla personalità e scrittura di questi tre grandi autori: Svevo, Joyce e Saba.
Covacich ci offre una full immertion , un tuffo nella Trieste della Psicoanalisi, quella Trieste dei primi del Novecento che fu crogiolo dei più talentuosi scrittori italiani e che raccolse in grembo in due momenti diversi anche il grande James Joyce dove scrisse “Gente di Dublino”, “Ritratto dell’Artista da Giovane” e concepì e iniziò il suo romanzo più famoso, “L’Ulisse”. Questi scrittori, poeti, filosofi triestini ebbero stretti legami tra loro,vuoi perché ebrei: Ettore Schimtz alias Italo Svevo, Umbero Saba, Giorgio Voghera, suo padre Guido, Giorgio Fano, vuoi per l’incontrastato interesse in quei primi anni del Novecento verso la Psicanalisi, impersonata a Trieste dal Dottor Edoardo Weiss.

Come riporta lo stesso comunicato del Rossetti “I tre monologhi “Svevo”, “Joyce” e “Saba” che lo scrittore ha portato in scena – prodotti dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia – a partire dall’ottobre 2021, sono partiti da Trieste e hanno raccontato la sua grande letteratura in tournée in tutta l’Italia, in diretta su Rai Radio Tre e addirittura all’estero. Sono diventati un libro, intitolato proprio “Trilogia triestina” edito da La Nave di Teseo ed in edicola da due settimane, ed ora vanno in scena, per un’unica sera, in un continuum.” Naturalmente negli intervalli nel foyer sarà possibile acquistare il libro. Quindi è stata una maratona letteraria di alto livello, dove Covacich rappresenta in modo superbo tre realtà di vita di questi giganti della letteratura sotto molte luci diverse.
Vogliamo sottolineare che, caposaldo essenziale per comprendere questi grandi autori anche nella loro intimità è il libro di nostro cugino Giorgio Voghera che ne “Gli Anni della Psicanalisi”, racconta le sue conoscenze familiari e amichevoli personali, in primis quelle del padre Guido e del cugino Giorgio Fano con tutti questi grandi personaggi.
Ricordando che Italo Svevo fu legato a Joyce, conosciuto nel 1907, da una amicizia vera e con affinità intellettuale., quando divenne suo studente d’inglese: Joyce si recava almeno due volte alla settimana a Servola a villa Veneziani, dove teneva lezioni a Svevo e alla moglie Livia. Lo scrittore triestino definisce l’amico: il “Mercante di gerundi”, un appellativo che usava per definire le burrascose sue economie e di una vita non agiata che lo scrittore irlandese aveva vissuto a Trieste con la sua famiglia. Sicuramente Joyce lesse i suoi due primi romanzi, “Una vita” e “Senilità” e ne rimase colpito, tanto da spingere Svevo a pubblicarli. E qui rientrano i racconti di Voghera sui rapporti con Saba, Svevo e lo stesso Joyce ed altri scrittori ed intellettuali del tempo come Giotti, Giulio Camber Barni, Roberto Bazlen e dello stesso Weiss. Da leggere gustosamente il capitolo “Considerazioni eretiche sulla “Scrittura” di Italo Svevo, dove con ironia tipicamente ebraica Voghera pone l’accento sulle difficoltà di Aaron Hector Schimtz, alias Italo Svevo, nello scrivere in italiano da “Gli Anni della Psicanalisi” :“…egli cercava semplicemente di inserirsi nella tradizione linguistica italiana omissis… e non ci riusciva se non molto imperfettamente. Come è noto, ciò dipendeva dal fatto che, se egli di solito pensava in triestino, quando si trattava di argomenti che più importavano per la sua creazione artistica omissis… allora si mescolavano al suo triestino termini, locuzioni, frasi, modi di dire presi dalla lingua tedesca. E non era facile tradurli in italiano… questo succedeva anche a molti altri letterati triestini: ma forse in misura minore”.

Giusto per far comprender quanto sia importante lo scritto di Voghera, vogliamo riportare solo alcune righe, ricordando che Umberto Saba aveva un’alta considerazione di Italo Svevo e lo si comprende da ciò che scrive il poeta firmando e datando la copia de “La Coscienza di Zeno” del 1923 con la nota di possesso in copertina “Mio! Trieste 31/VII/1923 Saba”, Voghera racconta, tra le altre cose, che fu proprio l’amico Fano a presentare Saba a Benco che “volle premettere una presentazione al primo libro di versi stampato dal poeta e fu poi più volte suo acuto e favorevole recensore”. Sempre da “Gli anni della Psicanalisi” Voghera ci riporta che la famosa libreria di via San Nicolò chiamata “Libreria Antica e Moderna”:-”…I due amici -(Umbero Saba e Giorgio Fano)-l’avevano acquistata assieme nel 1920 e Saba vi aveva impegnato una forte somma avuta in eredità dalla zia Regina. Ad un dato punto decisero che uno si sarebbe ritirato, cedendo la sua quota all’altro e che sarebbe stata la sorte a decidere. Ma di fronte alla disperazione di Umberto -(Saba)- che la sorte non aveva favorito, Giorgio Fano rinunciò a tutti i suoi diritti. “. Un libro e nostri personali ricordi trasmessi oralmente dal nostro cugino “Nini” Voghera su un periodo così brulicante di cultura e amicizia, sempre rinnovata sia nei salotti nel caso di “Casa” Veneziani, che nei caffè storici – ricordiamo “La Stella Polare”- perché meta anche del grande Joyce, come la pasticceria “Pirona”, ma tutti i caffè più noti erano frequentati dai “cervelli” aditi alla cultura e alla letteratura.
Covacich gli rende omaggio e ci ripropone questi tre giganti della letteratura da par suo, offrendo agli spettatori una attenta e accurata analisi sul loro mondo interiore e letterario, dando comunque in una sola ora per ognuno di loro, una visione completa e chiara dove Trieste stessa è il perno da dove iniziare questi tre monologhi: tre personaggi così differenti ma allo stesso tempo uniti da quell’atmosfera di cultura e di centralità mitteleuropea che la nostra città offriva e che comunque traspare anche nelle loro opere: un’influenza che non è stata di poco conto.
Allettante e curiosamente indovinata la scelta di una “Maratona” letteraria intervallata da due momenti di pausa enogastronomica nel foyer: tra Svevo e Joyce cosa c’è di meglio di un calice di vino del territorio e tartine di prosciutto caldo in crosta e kren su un letto di pinza di pasticceria prodotta dalle ricette di “Villa Veneziani”, quasi fossimo ospiti della moglie di Ettore Scmitz, Livia Veneziani… per passare poi al secondo intervallo tra i monologhi su Joyce e Saba con birra irlandese – Joyce ne sarebbe stato felice – e UN “Green Sandich”, -gorgonzola piccante, senape, lattuga e pomodoro – ispirato al pasto di Leopold Bloom nell’ VIII° episodio dell’ “Ulisse” prima di riprendere posto ad ascoltare un Covacich sopra le righe a decantare pregi e, pochi, difetti di Umberto Saba.
Per noi e per gli spettatori queste ore sono volate, anche nel tempo passato, facendoci riemergere ricordi scolastici, familiari e dandoci una luce complessiva anche su quello che Trieste ha rappresentato nel mondo per la sua capacità di offrire un “porto sicuro” a tanti letterati e studiosi in generale, come il professor Weiss, discepolo di Freud, riuscendo a intrecciare le vite di questi straordinari personaggi tra loro.
L’”Esperimento”di questa sera è più che riuscito, ha affascinato e arricchito culturalmente sia la mente che il palato dello spettatore: esperienza da ripetere con altri personaggi di questa caratura: Trieste può permettersi altre “Maratone”.
Ricordiamo che per “Svevo” l’ allestimento originale era a cura di Franco Però, di “Joyce” a cura di Massimo Navone e per “Saba” di Alberto Giusta. Mauro Covacich ha dato prova di coraggio e di una assoluta resistenza a portare assieme tutti e tre i monologhi in una sola serata: conoscevamo la sua bravura di scrittore e monologhista, ma questa sera si è superato, confermandosi anche un artista di palcoscenico a tutto tondo.