di Edoardo Gridelli
Foto tratte dal sito del Teatro Rossetti: https://www.ilrossetti.it/
A volte il coraggio di dire di no di fronte a se stessi, al mondo che ci circonda indifferente è più difficile e profondamente triste che accettare di dire un sì che lascia indifferente e magari felice una persona a ciò che accade attorno a lei. Coraggio? Per farlo non lo sappiamo, ma crediamo profondamente che nell’essere umano esista un impeto celato, profondo e disgustato su ciò che appare oscenamente come una barbarie, un meccanismo quasi di autodistruzione a voler dire di no a quello che i nostri occhi, le nostre orecchie e il nostro pensiero vedono e sentono. Un meccanismo strano, inconscio che sovrasta le nostre intenzioni ma da quel punto diviene il nostro primario interesse che la nostra mente stia in pace con il nostro cuore e il nostro modo di pensare che magari siate atei o credenti.
Tutto questo accadde a Giorgio Perlasca, uomo che aderiva da giovane al Partito Fascista e che combatté anche in Etiopia; si ritrovò di fronte a un bivio nel 1943, essendo a Budapest in qualità di addetto commerciale per una ditta guarda caso di carni di Trieste, e non aderendo alla nuova costituita Repubblica Sociale, ma restando nell’ombra quasi a non voler comprendere ciò che stava accadendo attorno a sè e quello che era accaduto nella sua vita e delle sue decisioni, precedenti. Accettò quello spirito di chi ha nel cuore la visione di una primaria ingiustizia, uno sterminio di un Olocausto che non aveva mai creduto di poter vedere. Da cosa nacque quella scintilla non lo sapremo mai, nemmeno lui capì il perchè si accese ma questa rese quell’uomo un’ arma inconsapevole contro una barbarie. Senza quasi rendersene conto gli apparve un penosa, demoniaca saga: le centinaia e centinaia di ebrei portati proprio al macello, proprio come il lavoro di cui lui si occupava per la ditta di carni SAIB di Trieste. Si risvegliò così da un torpore di indifferenza, una scintilla troppo vivida nella sua mente composta da tanti occhi… bastarono poche ore a farlo diventare un Uomo Giusto, tanto da mettere a rischio la propria vita collocandola al secondo posto.
Ed è legittimo e sacrosanto, riportare la sua storia, sempre e ovunque, nei libri, nei film, sceneggiati e a teatro soprattutto dove anche i ragazzi possano capire che vi è un limite invalicabile nelle nostre menti a cui, se viene superato, si può arrivare anche a disinteressarsi della propria vita. Ciò che fece Giorgio Perlasca non fu un atto di ribellione, ma semplicemente un suo proprio meccanismo di autodifesa in cui vi erano 1000 volti, 1000 occhi di uomini donne e bambini dentro di lui: crediamo che fu pervaso da una volontà e una forza nel suo agire che forse soltanto una pallottola lo avrebbe fermato; quelle persone erano dentro di lui e gli chiedevano, gli urlavano aiuto. Fa molto bene Michela Ottolini a riproporcelo, o meglio a dare non un’altra versione, ma il suo pensiero su Perlasca, perché ognuno di noi, crediamo, ne abbia uno suo personale. Noi lo abbiamo espresso prima e ci ritroviamo di fronte a un Alessandro Albertin che ci fa comprendere perfettamente quello che noi intendevamo dire all’inizio di questa “banale” recensione, visto il tema trattato…
Forse non molti sanno che dal 1960 il “Museo dell’Olocausto” di Gerusalemme “Yad Vashem” ha iniziato a ricercare ed assegnare il titolo di “Giusti fra le Nazioni ” a chi, non ebreo, rischiò la propria vita per aiutare e salvare gli ebrei senza alcun tipo di interesse dalla Shoah, riconoscendo il suo ricordo piantando un albero a suo nome.
Anche se in questa ottima rappresentazione di “Perlasca. Il coraggio di dire di no”, quest’uomo rimase poi, dopo la guerra silente, non raccontò nè volle spiegare cosa fosse successo davvero in Ungheria: ritornò nell’ombra come quelle centinaia di persone che salvò. Solamente grazie a due ungheresi ebrei scampati all’Olocausto grazie a lui che raccontarono la vicenda e che volevano manifestargli tutta la loro gratitudine il riconoscimento di”Giusto tra le nazioni” gli venne attribuito per tale merito.
Ci fa quasi sorridere che in molti si siano soffermati più sulla semplice e scarna scenografia che sull’interpretazione di Alessandro Albertin, nonostante la sua versatilità intensità espressiva e come abbia potuto così destare gli animi degli spettatori; noi crediamo invece che lo stesso Albertin si sia veramente calato in Giorgio Perlasca, con una profondità nel linguaggio sia verbale che scenico e non subendone il fascino, perché qui di fascino non si può e non si deve parlare, ma di aver visto quella scintilla, quella volontà, anche forse squilibrata per molti, di Perlasca e una reale volontà di porre fine a qualcosa di realmente inimmaginabile con la sola “pazzia” di chi non avrebbe potuto assistere a simili barbarie.
Un grazie sia alla regista Ottolini che ad Albertin per aver riproposto in maniera equilibrata, non tanto per la difficoltà di poter far esprimere al meglio l’attore in quello che pensava, faceva e diceva: lo ha fatto nel migliore dei modi calandosi in una parte difficilissima, tra squilibrio ed equilibrio mentale di chi mette a rischio la propria vita per altri sconosciuti: chi lo avrebbe fatto? Siamo riusciti a vedere in Albertin quelle persone che in realtà erano dentro Perlasca e sembrava urlassero anche a lui “Aiuto!”. Ma perché proprio Albertin ha trovato la forza, troppa forse anche per lui e intendiamo una performance soffertissima e vissuta, da grande attore qual’è: la forma migliore per interpretare tutto questo.
Dobbiamo comunque anche noi ricordare un attimo la storia di quest’uomo, non grande, solamente un uomo, trattenendo a sè appositamente un falso passaporto spagnolo, quindi con molte agevolazioni di movimento e di “collaborazione” con i nazisti; scappato il Console principale spagnolo si cambiò anche il nome divenendo Jorge Perlasca e inventando delle “case protette” sotto la giurisdizione spagnola (e quindi con la sovranità del territorio spagnolo) a centinaia e centinaia di ebrei. Non crediamo che quest’uomo abbia dormito più di 30 40 ore nei 50 giorni della sua opera di salvataggio per riuscire a salvare più di 5200 persone dalla deportazione verso la morte.
Dovremmo aggiungere altro? Si, che vorremmo che tanti Giorgio Perlasca nascessero, comprendessero, capissero e soprattutto riuscissero a vedere ciò che succede accanto a loro cercando di tendere una mano con umanità. Vogliamo ricordare anche la coraggiosa figura di Giuseppe Palatucci, Questore di Fiume, torturato e seviziato dai nazisti nel 1944 per aver aiutato altri ebrei a fuggire dall’Olocausto, “Uomo Giusto tra le Nazioni” deportato a Dachau con il numero 117826 sul braccio, marchiato come nostra zia che ci fece da nonna, salvatasi da Auschwitz solo perché medico: gli ebrei servivano anche da cavie e chi li curava doveva essere ebreo; lei ha lasciato in quel campo 12 nostri parenti, come Palatucci, forse deceduti per una morte ancor più dolorosa, dovuta a tifo petecchiale.
Un grazie di cuore ad Alessandro Albertin e alla regia di Michela Ottolini
“PERLASCA. IL CORAGGIO DI DIRE NO”.
Scritto e interpretato da Alessandro Albertin
Regia Michela Ottolini
Disegno luci Emanuele Lepore
Produzione Teatro de Gli Incamminati
In collaborazione con Overlord Teatro
Col patrocinio della Fondazione Giorgio Perlasca
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