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Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino sul podio
per la formazione: i risultati del report "Formazione
e lavoro: la situazione in Italia"


La formazione svolge un ruolo essenziale per la crescita di un paese, in quanto investire in formazione e conoscenza significa accrescere il sistema produttivo ed economico di uno Stato, incrementando il suo PIL e valorizzando l'asset più importante, il capitale umano. Il completamento del ciclo di studi, infatti, non può essere la fine di un percorso di apprendimento, in quanto gli individui sono chiamati costantemente ad aggiornare il loro portfolio di competenze per far fronte ai cambiamenti economici, lavorativi e demografici che attraversano il nostro paese. Risulta quindi necessario investire nel lifelong learning per abilitare gli individui a rispondere ai bisogni del mercato. 

In Italia la partecipazione ad attività formative non formali si attesta intorno al 39,3% della popolazione adulta, valore inversamente proporzionale alla classe d’età: il 17,1% è composto da individui tra i 25-34 anni, il 9,8% copre la fascia d'età dai 35 ai 44 e infine l’8,7% dai 45 ai 64 anni. I livelli di partecipazione formativa degli italiani sono leggermente peggiorati rispetto agli anni precedenti, a influire diversi fattori tra cui l’età e la scolarizzazione: sono ben lontani gli standard prefissati per la partecipazione all’Adult learning dalla Commissione Europea, che corrispondono al 47% entro il 2025 e 60% entro il 2030. La posizione dell’Italia è dunque ancora molto arretrata, occupando il diciottesimo posto in Europa, davanti a Repubblica Ceca, Lituania, Ungheria, Polonia e Romania, dimostrando quindi che c’è ancora molto da fare.

Questi e tanti altri sono i dati che emergono dal report “Formazione e lavoro: la situazione in Italia” di Enzima12, venture builder operante nei settori dei servizi per la formazione, il lavoro e l’edtech, che ha analizzato la situazione attuale nel nostro paese per fornire una panoramica completa da un punto di vista privilegiato in costante dialogo con gli attori principali del settore. Dal report traspare l’urgenza di compiere significativi passi in avanti, grazie a un approccio sistemico che si avvalga del lavoro di più soggetti e metta al centro la formazione come priorità per combattere i numerosi problemi odierni come il mismatch tra domanda e offerta di lavoro e l’inverno demografico, solo per citarne alcuni.

Le regioni dove si fa più formazione in Italia: il podio va al Nord-Est 

In Italia, la propensione a realizzare interventi formativi cresce all’aumentare della dimensione aziendale: le piccole e medie imprese spesso non hanno infatti la capacità di offrire opportunità di formazione ai propri dipendenti e si stima che l’11% degli adulti che lavorano in imprese con 10-49 dipendenti partecipano ad attività di istruzione e formazione non formale legate al lavoro; percentuale che sale al 13% tra quelle delle imprese con 50-249 addetti e al 15% per quelle con più di 249 addetti. Tra le aziende che fanno più formazione spiccano le imprese attive nei settori delle public utilities (energia elettrica, gas, acqua, ambiente) con il 64,2%, seguite dalle costruzioni (57,4%), dai servizi per le imprese (55,7%), servizi alle persone (54,1%) e dall’industria manifatturiera (52,6%). In aumento anche le “imprese formative” nell’ambito del turismo (39,1%).

Le imprese che hanno realizzato più attività formative sono situate in prevalenza in Veneto con il 28,4%, pari merito con il Friuli Venezia Giulia con il 28,4%, seguito dal Trentino Alto Adige con il 27,2%. A seguire Valle D’Aosta (26,3%), Umbria (25,5%), Lombardia (25,3%), Emilia Romagna (25,2%), Piemonte (24,6%), Sardegna (23,0%), Liguria (22,4%). Qual è la ragione principale per cui non si fa formazione? Nel 72,3% dei casi, la motivazione che viene attribuita è “il personale non necessità di ulteriore formazione”. 

La necessità della formazione e delle competenze digitali

L’affacciarsi di un numero sempre maggiore di innovazioni digitali sta conducendo a un importante sfida per le aziende che, per essere competitive, devono adeguare le proprie competenze a quelle richieste dal mercato; le imprese dovrebbero adottare entro il 2027 nuove tecnologie legate a: 
● big data
● cloud computing
● intelligenza artificiale 

Ad oggi, tuttavia, le aziende italiane hanno ancora un “approccio” moderato alla digitalizzazione: il 40% delle imprese italiane ha colto la pandemia come opportunità per investire nel digitale, contro il 46% della media UE, percentuale per cui l’Italia si piazza al diciottesimo posto tra i paesi europei per digitalizzazione .Si stima infatti che nel 2022 le aziende che non hanno investito nel digitale rappresentano il 30,4%, percentuale ancora molto alta se si considera che tra il 2017 e il 2021 costituiva il 31,5%: le imprese che hanno investito maggiormente nella transizione appartengono al settore delle industrie chimiche e farmaceutiche(87,5%), seguono i servizi finanziari e assicurativi (86%), l’istruzione e i servizi formativi privati (84%), i servizi informatici e delle telecomunicazioni (84%), e i servizi avanzati di supporto alle imprese (83%).

La percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media europea e le prospettive per il futuro sono indebolite dai modesti tassi di iscrizione e laurea nel settore delle ICT. Le cause possono essere ascritte alla presenza di pochi giovani da un lato e al numero molto basso di lavoratori con competenze informatiche dall’altro. Quali possono essere quindi le soluzioni? Come provare ad abbattere i divari creati dalla transizione digitale? Diventa così sempre più prioritario elaborare strategie e mettere al centro il tema della formazione continua per poter essere competitivi, a livello nazionale, nonché internazionale.

"Questo attento spaccato, per certi versi disarmante, che si evince dal report di Enzima12 non può che imporre di fermarsi un attimo e ragionare; il fatto che il mercato del lavoro si sia evoluto in modo esponenziale negli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti: non c’è più tempo per essere pigri, sia per i lavoratori, che per le aziende, è tutto ciò altrettanto lampante. Formazione e innovazione digitale, sinergicamente, sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per affrontare i prossimi anni, se vogliamo che le esigenze delle aziende trovino soddisfacimento nelle qualificazioni dei lavoratori e, reciprocamente, i lavoratori vengano gratificati nelle loro aspettative nel contesto lavorativo. Come appassionata e professionista della formazione non posso che essere d’accordo sulle conclusioni della ricerca effettuata e cogliere lo spunto per suggerire alle aziende di investire nel sapere per cavalcare l’onda senza esserne sopraffatti" commenta Emiliana M. dal Bon – Consulente del Lavoro – Partner Wi Legal, Formatrice e autore in materia di diritto del lavoro e strategie del lavoro.

“In un contesto in cui l'evoluzione digitale e il declino demografico pongono nuove sfide, l'Italia è chiamata ad un radicale cambiamento nel suo approccio all'apprendimento. Il completamento di un percorso formativo non può più essere considerato come la conclusione, anzi è il punto di partenza che accompagnerà i cittadini lungo tutta la loro vita.” sostiene Jacopo Mele, founder di Aurora Fellows e Moonstone VC, tra i 30 Forbes Under 30 europei del 2016.

Per consultare il white paper di Enzima12, clicca qui.

About Enzima12
Enzima12 è un venture builder nato nel 2021 che crea, abilita e lancia società nei settori dei servizi per la formazione, dei servizi per il lavoro, dell’edtech e dell’hrtech. La mission è quella di supportare l’innovazione e la crescita di imprese che offrono soluzioni efficaci e sostenibili per le sfide del mondo della formazione e del lavoro. Tra le società del Gruppo Enzima12 ci sono: Skills, A.G.Training, Darwin, Evergon, Funding42, 12Venture e, al suo interno, startup come Formatori Italiani e Dokimazo.

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